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A.D.H.D. (Deficit di Attenzione e Iperattività)

Cos’è l’ADHD?

Il Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività (ADHD, acronimo per l’inglese Attention Deficit Hyperactivity Disorder) è un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato, secondo i criteri del Diagnostic and Statistical Manual Of Mental Disorders (DSM-III; DSM-IIIR; DSM-IV), da inattenzione e impulsività/iperattività.
Nello specifico, il DSM-IV distingue tre forme cliniche: inattentiva, iperattiva, combinata.

Nel corso dello sviluppo, lo stesso soggetto può evolvere da una categoria all’altra manifestando nelle varie fasi d’età le tre differenti dimensioni psicopatologiche in modo variabile.
Tutti questi sintomi non sono causati da deficit cognitivo (ritardo mentale), ma da difficoltà oggettive nell’autocontrollo e nella capacità di pianificazione, sono persistenti in tutti i contesti e situazioni di vita del bambino causando una limitazione significativa delle attività quotidiane.
L’inattenzione o facile distraibilità tende a presentarsi in particolare come scarsa cura per i dettagli ed incapacità a portare a termine compiti o giochi intrapresi. E’ presente compromissione dell’attenzione focale (capacità di prestare attenzione su uno stimolo determinato, trascurando i particolari irrilevanti e non utili al compito in corso) e dell’attenzione sostenuta ovvero della capacità di mantenere l’attenzione attiva nel tempo durante lo svolgimento di attività scolastiche, nei compiti a casa, nel gioco o in semplici attività quotidiane. L’impulsività si manifesta come incapacità di procrastinare nel tempo la risposta ad uno stimolo esterno o interno. In genere i bambini con ADHD rispondono sempre senza riflettere, non riescono quasi mai ad aspettare il proprio turno nelle attività quotidiane o nei giochi; spesso si lasciano coinvolgere in attività pericolose senza valutare adeguatamente le conseguenze (provocando talvolta danni fisici a sé stessi o ad altri). L’impulsività è generalmente associata ad iperattività: questi bambini vengono descritti “come mossi da un motorino”, non riescono a star fermi, se seduti si muovono con le mani o i piedi, hanno frequentemente l’esigenza di alzarsi e muoversi senza uno scopo o un obiettivo preciso. A questo si accompagna una sensazione interna soggettiva, di tensione, pressione, instabilità, che deve essere scaricata (tale sensazione soggettiva diventa spesso prevalente in adolescenza o in età adulta, quando si riduce l’iperattività motoria).
I bambini con ADHD mostrano, soprattutto in assenza di un supervisore adulto, un rapido raggiungimento di un elevato livello di “stanchezza” e di noia che si evidenzia con frequenti spostamenti da un’attività, non completata, ad un’altra, perdita di concentrazione e incapacità di portare a termine qualsiasi compito o gioco protratti nel tempo. Nella gran parte delle situazioni, questi bambini hanno difficoltà a controllare i propri impulsi ed a posticipare una gratificazione: non riescono a riflettere prima di agire, ad aspettare il proprio turno, a lavorare per un premio lontano nel tempo anche se consistente. Se confrontati con i coetanei, questi bambini mostrano una eccessiva attività motoria (come muovere continuamente le gambe anche da seduti, giocherellare o lanciare oggetti, spostarsi da una posizione all’altra).
L’iperattività a questi livelli compromette l’adeguata esecuzione dei compiti richiesti. L’incapacità a rimanere attenti e a controllare gli impulsi fa si che, spesso, i bambini con ADHD abbiano una minore resa scolastica e sviluppino con maggiore difficoltà le proprie abilità cognitive: frequentemente mostrano scarse abilità nell’utilizzazione delle norme di convivenza sociale, in particolare in quelle capacità che consistono nel cogliere quegli indici sociali non verbali che modulano le relazioni interpersonali.
Questo determina una significativa interferenza nella qualità delle relazioni tra questi bambini ed il mondo che li circonda. La normale iperattività, impulsività e instabilità attentiva non determinano significative conseguenze funzionali, il vero Disturbo da Deficit Attentivo con Iperattività determina conseguenze negative a breve e lungo termine.

 

DIAGNOSI DI A.D.H.D.

Secondo il manuale diagnostico dei principali disturbi psicologici (DSM-IV 2002), a cui si fa generalmente riferimento a livello internazionale, per poter fare diagnosi di ADHD devono essere presenti tutta una serie di caratteristiche di seguito riportate:

Per diagnosticare l’ADHD, devono esserci sei (o più) dei seguenti sintomi che siano persistenti  per almeno 6 mesi con una intensità che provoca disadattamento e che contrasta con il livello di sviluppo, in particolare:

Per il criterio Disattenzione i sintomi sono:

  • spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commette errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro o in altre attività
  • spesso ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco
  • spesso non sembra ascoltare quando gli si parla direttamente
  • spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze, o i doveri sul posto di lavoro (non a causa di comportamento oppositivo o di incapacità di capire le istruzioni)
  • spesso ha difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività
  • spesso evita, prova avversione, o è riluttante ad impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto (come compiti a scuola o a casa)
  • spesso perde gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per es. giocattoli, compiti di scuola, matite, libri o strumenti)
  • spesso è facilmente distratto da stimoli estranei

Per il criterio Iperattività i sintomi sono:

  • spesso muove con irrequietezza mani o piedi o si dimena sulla sedia
  • spesso lascia il proprio posto a sedere in classe o in altre situazioni in cui ci si aspetta che resti seduto
  • spesso scorrazza e salta ovunque in modo eccessivo in situazioni in cui ciò è fuori luogo (negli adolescenti o negli adulti, ciò può limitarsi a sentimenti soggettivi di irrequietezza)
  • spesso ha difficoltà a giocare o a dedicarsi a divertimenti in modo tranquillo
  • è spesso “sotto pressione” o agisce come se fosse “motorizzato”

Per il criterio impulsività i sintomi sono:

  • spesso “spara” le risposte prima che le domande siano state completate
  • spesso ha difficoltà ad attendere il proprio turno
  • spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per es., si intromette nelle conversazioni o nei giochi)

Quali sono le cause dell’ADHD?

L’ADHD è un disturbo complesso che è determinato da diverse componenti:

Componente organica.

Le ricerche indicano che i bambini con ADHD hanno alcune aree del cervello più piccole dei bambini che non hanno questo disturbo, in particolare, uno studio di neuroimmagine pubblicato su The American Journal of Psychiatry (AJP) dimostra per la prima volta anomalie morfologiche nel cervello di bambini con ADHD (A. Qiu, D. Crocetti, M. Adler, , E. M. Mahone, M. B. Denckla, M. I. Miller, S. H. Mostofsky, Basal Ganglia Volume and Shape in Children With Attention Deficit Hyperactivity Disorder, Am J Psychiatry, Nov. 18, 2008). In particolare, i ricercatori del Kennedy Krieger Institute di Baltimora e del Johns Hopkins Center for Imaging Sciences hanno rilevato in bambini maschi con ADHD, oltre a riduzioni volumetriche complessive del cervello, già dimostrate in precedenti studi, si evidenziano significative anomalie morfologiche dei gangli basali (nucleo caudato, putamen, globo pallido) rispetto a un campione di riferimento.

Sembrerebbe esistere, quindi, una caratteristica organica ricorrente e particolare, quindi è abbastanza verosimile che questa differenza neurobiologica sia collegata in qualche modo al disturbo.

In un esperimento realizzato grazie alla RMf (Risonanza Magnetica funzionale) sono state osservate differenze significative tra il cervello di un bambino che non ha un ADHD e di un bambino che ha un ADHD.

In questo esperimento, ad entrambi i bambini è stato chiesto di eseguire un compito di attenzione, come leggere,  scrivere o sintetizzare qualcosa. Nell’immagine della Risonanza Magnetica si è notato come nel cervello del bambino che non ha un ADHD si attiva l’area dei lobi frontali, preposti, tra l’altro, a regolare l’attenzione, infatti si evidenzia che è colorata di rosso, mentre nell’altra immagine, quella del bambino con un ADHD, quest’area non è per niente attivata, e si nota che invece si attivano tutta una serie di altre aree, come se il cervello cercasse di compensare il deficit.

Componente genetica

Sembra che entrino in gioco anche fattori di tipo genetico. Infatti le ricerche sui gemelli omozigoti suggeriscono che un bambino con un ADHD ha l’80 % di possibilità di avere un gemello omozigote che ha lo stesso disturbo. Mentre i gemelli dizigoti, cioè quelli che non hanno lo stesso patrimonio genetico, hanno il 30% di possibilità di sviluppare il disturbo. Questa informazione suggerisce che il fattore ereditarietà gioca un ruolo assolutamente importante.  Altro aspetto è che il disturbo è più prevalente nei maschi piuttosto che nelle femmine in un rapporto di 8 a 1. Quindi nella maggior parte dei casi si tratta di bambini maschi e anche questo ci rimanda ad una componente genetica.

Componente ambientale 

La componente ambientale riguarda tutto quello che circonda e/o viene sottoposto ad un bambino con A.D.H.D., ovvero:

  • comportamento delle persone che lo circondano (genitori, familiari, insegnanti),
  • organizzazione fisica degli arredi e oggetti che lo circondano
  • impostazione delle attività rutinarie che gli vengono proposte

Le componenti ambientali sopra descritte rivestono un ruolo importantissimo nella progressione o regressione dell’ADHD. Tanto più sono appropriate le componenti ambientali sopra esposte che circondano il bambino, migliore sarà la risposta in termini di miglioramento dei sintomi del disturbo da ADHD.

Le possibili cure attuali dell’ADHD

I soggetti affetti da ADHD possono essere sottoposti alle seguenti terapie:

– farmacologiche

– psico-comportamentali

– combinate (Psico-comportamentali e farmacologiche)

 

I farmaci attualmente in uso per il trattamento dell’ADHD

Gli psicostimolanti sono considerati la terapia più efficace per l’ADHD e il metilfenidato è il farmaco di cui, fino ad oggi, è stata raccolta la maggiore esperienza. Gli psicostimolanti agiscono sui trasportatori per le monoamine: il metilfenidato modula soprattutto la quantità di dopamina, e di noradrenalina, presente nello spazio intersinaptico. Potenzia una trasmissione dopaminergica deficitaria e attenua uno stato di iperattività dopaminergica. È in grado di migliorare l’inibizione delle risposte, la memoria di lavoro e i processi di discriminazione degli stimoli.

Il metilfenidato

Il metilfenidato (Ritalin®) è il medicinale di scelta per il trattamento in terapia farmacologica dell’ADHD. Il metilfenidato è somministrato in base al peso corporeo, mediamente 0,3-0,6 mg/kg/dose in due” tre dosi die. L’assorbimento gastrointestinale metilfenidato e’ rapido e pressoché completo. La somministrazione orale di metilfenidato induce un picco plasmatico dopo una-due ore con emivita di eliminazione di 3-6 ore: il farmaco inizia a mostrare la sua attività clinica dopo circa mezz’ora dalla somministrazione orale, raggiunge il picco di attività dopo un’ora, per una durata terapeutica di circa 2-5 ore. Il metilfenidato viene quindi solitamente somministrato 2-3 volte al giorno. Esiste peraltro un a notevole variabilità di risposta clinica tra i singoli individui e l’efficacia non appare correlata con i livelli plasmatici del farmaco.

Il metilfenidato è utilizzato in gran parte dei Paesi dell’Unione Europea e in molti altri Stati: Usa, Australia, India, Canada, Cile, Hong Kong, Inghilterra, Iran, Israele, Malesia, Messico, Olanda, Nuova Zelanda, Sud Africa, Singapore, Venezuela.

I benefici

I risultati di alcuni studi clinici controllati hanno evidenziato che il metilfenidato è efficace in circa il 70% dei bambini con ADHD. L’effetto terapeutico è rapido. Una settimana di trattamento è in genere sufficiente per ottenere benefici valutabili anche in ambito scolastico: aumento dell’attenzione, della capacità di portare a termine i compiti assegnati, oltre ad una riduzione dell’impulsività, della distrazione e delle interazioni interpersonali conflittuali. Negli studi finora condotti è stato notato che la stessa dose di metilfenidato può tuttavia produrre in bambini con ADHD cambiamenti in positivo, in negativo o nulli, in base al metodo di valutazione usato. Questo paradosso evidenzia l’eterogeneità dei metodi di valutazione finora utilizzati nelle sperimentazioni cliniche, che vanno da una soggettiva percezione di miglioramento da parte dei genitori, a valutazioni cliniche ambulatoriali, fino all’analisi del rendimento scolastico del bambino. Circa il 30% dei bambini con ADHD non risponde al metilfenidato. I fattori che sembrano limitare l’efficacia del farmaco sono: la predominanza di ansia e depressione nel quadro sintomatologico (sintomi che nei bambini con ADHD il metilfenidato migliora), la concomitanza di lesioni organiche e neuroevolutive, e la presenza di condizioni socioeconomiche ed ambientali sfavorevoli. Tutti elementi che riconducono anche alla difficoltà ed eterogeneità della definizione diagnostica di questa sindrome. Mentre l’efficacia nel breve periodo è ben documentata, pochi sono stati finora gli studi che hanno analizzato gli effetti a lungo termine del metilfenidato. I risultati ottenuti non hanno evidenziato nei pazienti trattati un miglior inserimento sociale o il raggiungimento di più alti livelli di scolarità rispetto ai controlli. Ne consegue che le evidenze a tutt’oggi disponibili supportano l’uso del farmaco solo per un periodo di breve durata e nell’ambito di una terapia non solo farmacologica.

Una metanalisi dei dati di letteratura ad oggi disponibili, indica che, indipendentemente dall’eventuale sensibilizzazione al metilfenidato, l’esposizione precoce al trattamento farmacologico di bambini con ADHD, piuttosto che favorire, previene l’abuso di sostanze psicotrope in adolescenza o in giovane età adulta (Odd Ratio 1.9; Wilens et al. 2003). Possibili meccanismi di tale effetto protettivo includono: riduzione dei sintomi dell’ADHD, sopratutto dell’impulsività, miglioramento del rendimento scolastico e delle relazioni con coetanei e adulti di riferimento, possibile riduzione della evoluzione verso il disturbo di condotta e successivamente verso il disturbo antisociale di personalità (Taylor et al. 2004).

L’FDA ha recentemente chiesto ai produttori di farmaci stimolanti utilizzati nel trattamento dell’ADHD di aggiungere un nuovo avvertimento sugli effetti avversi per il sistema cardiovascolare.

L’atomoxetina

L’atomoxetina è un inibitore selettivo del reuptake della noradrenalina per la terapia dell’ADHD nei bambini al di sopra dei 6 anni di età, adolescenti e adulti. Non è noto come il farmaco riduca i sintomi nel deficit di attenzione ed iperattività, tuttavia si ritiene che la noradrenalina svolga un importante ruolo nel regolare l’attenzione, l’impulsività ed i livelli di attività. L’Atomoxetina è stata dapprima introdotta sul mercato negli USA nel novembre del 2002 e poi successivamente nel Regno Unito nel maggio del 2004; è già in commercio negli stati di Singapore, Hong Kong e Canada. In tutti i Paesi dell’Unione Europea (tranne la Francia), a seguito di mutuo riconoscimento, sono attualmente in corso le procedure per l’immissione in commercio del farmaco. Durante la prima settimana di terapia l’Atomoxetina viene somministrata in dosi quotidiane di 0,5mg/kg, con aumento progressivo fino al dosaggio intermedio di mantenimento di 0,8mg/kg die. La somministrazione avviene una volta al giorno: in caso di difficoltà di tollerabilità si può suddividere in due volte.

I benefici

L’efficacia dell’atomoxetina è stata valutata attraverso 8 studi controllati verso placebo condotti in circa 1500 pazienti, di cui più di 1000 erano bambini e adolescenti. Alcuni dei pazienti, sia pediatrici che adulti, sono stati seguiti in studi in aperto per vari anni (periodo di tempo superiore a 3 anni) per ottenere dati relativi all’efficacia ed alla sicurezza del trattamento a lungo termine. Ad oggi non vi sono chiare evidenze circa l’efficacia al lungo termine e all’effettiva necessità di un trattamento protratto oltre i 3-6 mesi. Riguardo la sicurezza del farmaco va sottolineato che, nel corso del 2005, sia l’EMEA che la Food and Drug Administration (FDA) hanno allertato il personale medico e i pazienti circa l’aumentato rischio di pensieri suicidari in bambini e adolescenti in terapia con l’atomoxetina. L’incremento del rischio suicidarlo è stato identificato in una metanalisi di alcuni trial della durata da sei a diciotto settimane.

Lo studio ha dimostrato che lo 0,4% dei bambini trattati con atomoxetina manifesta pensieri suicidari mentre in quelli trattati con placebo non si è registrato nessun caso del genere. Un’analisi simile è stata eseguita anche tra adulti con ADHD o con depressione: in questi soggetti non si è avuto incremento di comportamenti autolesionistici. Le autorità regolatorie hanno deciso di far inserire nella scheda tecnica del prodotto le avvertenze aggiornate sul rischio di ideazione e comportamento suicidarlo, per richiamare l’attenzione sul fatto che i ragazzi che stanno iniziando la terapia a base di atomoxetina devono essere controllati attentamente per monitorare eventuali manifestazioni anomale del comportamento, pensieri suicidari o peggioramenti del quadro clinico psichiatrico. Particolare attenzione va anche rivolta agli effetti cardiovascolari che possono essere indotti dal farmaco.

L’FDA ha recentemente chiesto ai produttori di farmaci stimolanti utilizzati nel trattamento dell’ADHD di aggiungere un nuovo avvertimento sugli effetti avversi per il sistema cardiovascolare mentre ha respinto le raccomandazioni segnalate da un gruppo di esperti favorevoli al “black box” riguardante il possibile rischio di morte improvvisa (sudden death): questa informazione è stata inserita nelle avvertenze generali del farmaco. L’FDA aveva inviato nel maggio 2006 una lettera direttamente agli sponsor per rinforzare le precauzioni per l’uso.

Da parte di una nota casa produttrice è stato prodotto e aggiunto un nuovo avviso circa i rischi di eventi cardiovascolari e psichiatrici prodotti da atomoxetina nel trattamento dell’ADHD. È possibile che il rischio riferito a questo farmaco rifletta le differenze nel meccanismo d’azione dell’atomoxetina.

Nuovo prodotto farmaceutico in studio per il trattamento dell’ADHD

Considerata la manifestazione di importanti effetti collaterali riferiti ai farmaci tradizionali innanzi indicati per il trattamento dell’ADHD, il team di ricerca di Nevia Biotech ha individuato il possibile uso di una molecola endogena al corpo umano capace di sviluppare azioni terapeutiche simili a quella del metilfenidato e atomoxetina, ma senza l’evidenza dei severi effetti collaterali propri di questi farmaci.

Attualmente gli studi in corso sono concentrati nella fase preclinica di sviluppo del farmaco.

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